Sono diverse le situazioni della grande processione, diversi gli intendimenti. Da quello festoso, fatto di sfarzo e grande ala di gente al’interno della città, a quello più silenzioso dei fedeli, che allungano il loro passo sino a Nora, sino a Pula, dormendo nella scomodità e nel disagio.
Camminando col Simulacro si incontrano le tante anime della Sardegna, di un popolo che aspetta il passaggio di Sant’Efisio, del suo Simulacro, per riversargli le propri pene, i propri disagi, le proprie speranze. La processione che attraversa la Sardegna meridionale è anche testimone dei cambiamenti, alcuni epocali, altri, invece, solo marginali.
Una volta grandi banchetti accoglievano lungo la strada chi portava la Statua, chi andava salmodiando per una ottantina di chilometri, aspetto che quasi totalmente s’è perso, lasciando queste offerte di cibo alla sporadicità. Non sembra una cosa da poco, al di là del mangiare, vuole dire che la comunità s’è un po’ racchiusa verso tensioni più personali.
E d’altra parte chi segue la processione spesso
lo fa anche per misurarsi con una fatica fisica e con le privazioni che ne
conseguono, quasi volesse espiare, strada facendo, chissà cosa. Sacro,
profano, pubblico e molto privato: la processione del Maggio cagliaritano era
ed è “tante cose” insieme. Sempre e comunque da vivere.
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